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Nell’arte di Antonino Medoro, incisore e scultore, l’uomo è al centro di tutti gli interessi. La vocazione al sacro di quest’arte, che possiamo ben definire religiosa, per i soggetti che tratta e per l’affiato che vi ispira, fa di questo poeta, che adopera il bronzo invece della parola, un’artista di sofferta spiritualità.
Medoro è uno di quelli, per dirla come Emilio Greco suo maestro che “cercano il Cristo presso l’altare con profonde ragioni d’amore”. Ecco che nei suoi bronzetti e nelle sue incisioni e nei suoi pannelli e sbalzi, ritorna come un motivo guida illuminante e pacificante la preghiera (su venti opere più di un terzo).
La meditazione, la preghiera, il dolore, la danza: idee astratte e motivi geometrici, le linee rette e i corpi solidi, carichi di una loro passione, che il rame dei pannelli ricordante le porte istoriate delle antiche cattedrali e il bronzo delle statuine, traducono in sentimento profondamente umano e altamente drammatico e rasserenante.
Significativo è uno dei suoi Crocifissi. La scultura è conclusa in tre curve ovali il cui fuoco comune è la Croce la quale si estolle al centro del raccordo ellittico che conclude il creato. La curva di sinistra riepiloga l’Universo senza limiti e, ai piedi della Croce, è il sistema solare e la minuscola terra. Le due curve di destra sono l’uomo rapito da dolore e dall’amore di Cristo, la Verità e l’intimità di Dio che da all’uomo una grandezza e una elevazione non altrimenti raggiungibile.
C’e in questa opera un rigore architettonico e quasi geometrico e un’unità di composizione, che s’incentra nella croce e cioè nel dolore rilevante e misterioso di Dio.
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La scultura che non è affatto una rappresentazione statica, che rivela anzi in se un sorprendente movimento, porta lo scultore a intravedere, sul piano della poesia, la trasfigurazione di Cristo della travagliata realtà umana.
Dott. Domenico Lamura
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Pubblicato ne “L’OSSERVATORE ROMANO”
Mercoledì 16 Aprile 1986
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Non v’è dubbio che in queste opere il Medoro ha risolto anzitutto il problema della struttura architettonica delle sue immagini, per cui l’equilibrio dosatissimo e pur naturale delle masse plastiche giunge a tale perspicuità visiva da conferire al tutto tondo una lucentezza e trasparenza interna, quasi la materia si risolvesse nella luce stessa della figurazione fantastica.
Si giunge così alle figure aerodinamiche e ad un equilibrio generato esso stesso dal movimento, al disgregarsi della forma corporea nello spazio ed al condensarsi dello spazio sulla forma corporea.
L’uomo infatti riemerge dal magma tumultuoso della visione simultanea, per riacquistare i tratti della propria consistenza individuale, e respira in uno spazio di chiarezza e rarefazione intellettuale mai prima da lui raggiunta.
In realtà,attraverso i suoi misteriosi incavi, i suoi vuoti, le sottili graffiature traspare tutta la poesia del Medoro, permeata di un sentimento forte e perfino drammatico della vita, anche se improvvise e malinconiche dolcezze sembrano per un momento appagare l’ansioso dolore che batte dentro l’anima di questo altissimo artista.
Pubblicato ne “il Mulino” Rivista bimestrale di cultura e di politica”
Lunedì 19 febbraio 1990

